SABO ROSA 2022 – Gabriella Pedroni

Gabriella Pedroni si è aggiudicata il Sabo Rosa 2022, il riconoscimento che dal 2010, in occasione della Festa della Donna, viene conferito dal nostro Gruppo alla “Camionista dell’Anno”. La cerimonia di consegna si è svolta l’8 marzo 2022 nella sede centrale del Gruppo, a Castel Guelfo di Bologna. 

Impegno, passione e formazione. Queste sono le parole che ci sono venute in mente leggendo il racconto che ha fatto di sé Gabriella Pedroni, al momento della candidatura al Sabo Rosa 2022. Una donna che si è sempre confrontata alla pari con i suoi colleghi e che ha saputo ricevere il giusto rispetto e la giusta considerazione, grazie alla propria competenza e alla tenacia”, ha spiegato Elisabetta Nuti. “Mai come quest’anno il Sabo Rosa ci ha permesso di far emergere il mondo ‘al femminile’ che lavora nel trasporto delle merci e delle persone. Un mondo raccontato da tante donne che nulla hanno da invidiare a nessuno e che dimostrano quanto sia importante, in ogni lavoro, metterci un cuore che ama ciò che si fa e mani sapienti”, ha concluso Elisabetta Nuti.

Nata a Tione di Trento e residente a San Michele all’Adige, Gabriella Pedroni è ingegnere meccanico e dirige un team privato nel settore del motorsport.
Campionessa italiana assoluta nella cronoscalata, nonché vincitrice della Coppa Europa di specialità, la “Camionista dell’Anno” ha tutte le patenti per la guida dei mezzi pesanti ed è formatrice, per gli autisti di camion, nel settore della guida razionale (un corso di formazione che permette ai camionisti di migliorare la conoscenza del veicolo, così da utilizzarlo nel lavoro diminuendo i consumi di gasolio e di altri apparati meccanici come i freni e le sospensioni, ndr). “Faccio tanti complimenti al Roberto Nuti Group per questa iniziativa – ha detto Pedroni durante la cerimonia del Sabo Rosa -. È molto bello quando le aziende credono nella professione al femminile”.

Gabriella Pedroniha avuto, fin da piccola, un’attenzione per le macchine e la meccanica. “Come giocattoli avevo le Barbie con le automobili e le macchinine. Poi il mio papà, quando avevo otto anni, mi portò con sé all’European Truck Grand Prix di Misano, e mi ricordo ancora l’emozione di vedere i camion, di sentirli rimbombare nello stomaco quando, seduti al muretto, li guardavamo passare ai 160 km all’ora, in pista”. Una passione mai domata che l’ha portata in pista quando ancora frequentava le elementari. “Ho cominciato a correre con i kart a nove anni e pian piano la mia passione è cresciuta fino a farmi gareggiare in competizioni internazionali con le vetture da corsa – spiega Gabriella Pedroni -. A ventiquattro anni mio padre mi ha detto: ‘io non ce la faccio più… il camion guidalo pure tu, adesso’. Allora ho preso tutte le patenti e ho ottenuto la carta di abilitazione da conducente per uso speciale, visto che il mio camion è omologato come officina mobile”.

“Quello del trasporto e dei motori in generale è un mondo che si sta aprendo davvero tanto al lavoro e alla presenza femminile – conclude Pedroni -, conosco diverse donne meccanico e ingegnere. Inoltre emerge sempre più spesso la solidarietà fra autotrasportatori, ‘ti aiuto perché so che puoi avere bisogno’. Questa è una cosa che ho sempre apprezzato, e la passione è cresciuta anche per questo motivo”.

L’intervista a Gabriella Pedroni

Quando e come è nata la tua passione per i camion? Quando hai capito che quello dei camion sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?

Da quando sono nata, fin da piccola, ho apprezzato le macchine. Come giocattoli avevo le Barbie con le automobili e le macchinine. Poi il mio papà, quando avevo otto anni, mi portò con sé all’European Truck Grand Prix di Misano, e mi ricordo ancora l’emozione di vedere i camion, di sentirli rimbombare nello stomaco quando, seduti al muretto, li guardavamo passare ai 160 km all’ora, in pista.

Poi a nove anni ho cominciato a correre con i kart e pian piano la mia passione è cresciuta fino a farmi gareggiare in competizioni internazionali con le vetture da corsa. La passione per i mezzi pesanti intanto è continuata e a ventiquattro anni ho preso la patente per il camion del mio team corse privato. Questo perché mio padre mi ha detto: “io non ce la faccio più… il camion guidalo pure tu, adesso”. Allora ho preso tutte le patenti e ho ottenuto la carta di abilitazione da conducente per uso speciale, visto che il mio camion è omologato come officina mobile. 

Qual è il tuo lavoro? Che camion usi?

Faccio gare di velocità in montagna, cronoscalate, e giro in tutta Italia ed Europa. Per dodici anni ho guidato uno Scania di 16 metri, un bilico, che faceva da officina mobile e da trasporto della vettura. Inoltre avevamo approntato, all’interno del camion, una zona camper in cui poter dormire, perché facendo gare di velocità in montagna, il luogo di ricovero dei mezzi è sempre lontano dalle città e lasciare la macchina senza un controllo non me la sono mai sentita. Nel 2019 ho venduto lo Scania e ho preso un 10 metri MAN, con cui continuo a trasportare le vetture da corsa del team. 

Durante questi anni sono poi entrata, come docente, in scuole di guida sicura e, ultimamente, abbiamo iniziato con il progetto Renault Trucks, un corso di formazione di guida razionale per i camionisti. Con questa scuola insegniamo all’autista a gestire al meglio il suo mezzo, utilizzando correttamente e appieno la strumentazione elettronica, le frenate con il retarder, la sicurezza e la manutenzione.

Come hanno reagito i tuoi famigliari a questa tua decisione?

I miei genitori, quando uscivo con gli amici per una serata, solitamente mi dicevano di non fare tardi e di stare molto attenta. Quando giravo con il camion invece erano tranquillissimi. Per loro il fatto che guidassi un camion in giro per l’Europa è sempre stato molto più sicuro di uscire con gli amici alla sera.

Poi è chiaro, sul mio lavoro di pilota da corsa mia mamma ha dovuto farsene una ragione, mentre mio padre è sempre stato un appassionato. 

Com’è fare un lavoro da sempre considerato da uomo? Che tipo di considerazione hai fra i camionisti? Il vostro lavoro ottiene il giusto riconoscimento? è stato complicato farsi accettare, in un mondo così strettamente “al maschile”?

Nel motorsport ho vinto diversi campionati assoluti, anche battendo piloti maschi. Questo perché quello dei motori è uno sport in cui ci si confronta con il cronometro, e anche se sei una donna e il crono dà favore a te, nessuno può dire niente. Questo è un mondo che si sta aprendo davvero tanto al lavoro e alla presenza femminile, conosco diverse donne meccanico e ingegnere. 

Non capisco per quale motivo non ci siano donne in questo mondo, per quale motivo le ragazze non intraprendano questa carriera. Credo sia un problema culturale specificamente italiano. Conosco donne appassionate che dicono “ormai è troppo tardi”. All’estero è diverso. Quando incrocio ragazze tedesche o di altre nazionalità, viaggiano, caricano e scaricano senza problemi. 

Per quanto mi riguarda, sia nel motorsport sia nella guida del camion, non ho problemi a guidare bilici o a fare lunghi viaggi internazionali. È un lavoro come tanti altri, è una passione. Tutti i lavori vanno fatti con passione. 

Per quanto riguarda il rispetto dei colleghi, io ho iniziato a guidare nel 2006, a 25 anni, e in tutte le situazioni ho sempre trovato da parte degli autisti dei camion tanto rispetto e tanto aiuto. Hanno sempre chiesto se avevo bisogno di una mano, in situazioni complesse o strade che non avevo mai percorso. E non con l’atteggiamento paternalista del “sei una donna, non sei capace, ti aiuto io”, ma con la preoccupazione che non ti succeda nulla di grave. È la solidarietà fra autotrasportatori, “ti aiuto perché so che puoi avere bisogno”. Questa è una cosa che ho sempre apprezzato, e la passione è cresciuta anche per questo motivo.

Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?

Per curiosità. Ho guardato, l’ho trovato interessante, e faccio tanti complimenti anche al Roberto Nuti Group per questa iniziativa. È molto bello quando le aziende credono nella professione al femminile.

Com’è cambiato il tuo lavoro con la comparsa del Covid-19?

Con il Covid è venuta meno l’attenzione alla formazione, che è stata tenuta da parte un po’ da tutti. In questo periodo si è pensato soprattutto al lavoro, a viaggiare il più possibile, ed è rimasto indietro l’aggiornamento. Atteggiamento che culturalmente fa male alla professione e crea dei pericoli. Ad esempio per strada, guidando, si vedono situazioni, create dagli automobilisti, che non sono corrette per i mezzi pesanti. 

I mezzi pesanti sono diversi dalle automobili, in primo luogo per la massa e poi per il sistema frenante e di ammortizzazione. Sulla strada si comportano in modo diverso dalle vetture. 

Occorre capire che fare il camionista non è un lavoro di secondo piano. Il camionista segue diversi corsi di formazione, impara a ragionare sulle svariate situazioni, a sfruttare al meglio il mezzo, la trasmissione, la frenata, a pensare alla strada. 

Tutta la vecchia generazione si è preparata per esperienza, i giovani sono preparati grazie ai corsi.

Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?

Il lato positivo è che si viaggia tanto e si vedono luoghi diversi, soprattutto durante i trasporti internazionali. Si incontrano esperienze e culture diverse, si conoscono più lingue. Chi viaggia a livello internazionale, si fa una grande esperienza di vita.

Gli aspetti negativi riguardano il fatto che i ragazzi italiani snobbano la professione, non prendono in considerazione l’autotrasporto come mestiere per la vita. Questa è una cosa che non riesco a capire. Molti autisti sono stranieri e questo perché non ci sono autisti italiani giovani che si propongono. 

Anche questa è una questione culturale che si trova soprattutto in Italia. Si pensa che il camionista faccia una vita sbandata o difficile. Invece è una professione molto interessante e che offre subito lavoro. Gli autotrasportatori sono forti imprenditori, sono molto preparati e hanno retribuzioni molto interessanti. In italia bisogna cambiare la mentalità, sulle donne e sull’autotrasporto.